Oggi vogliamo pubblicare sul nostro blog un bellissimo articolo scritto da Marco Immovilli, ricercatore dell’Università di Wageningen(Olanda), sull’esperienza da lui avuta con noi, durante un periodo di diversi mesi in cui ha studiato sul campo la nostra realtà, insieme al fermento della Valle Varaita.

Un’insieme di riflessioni molto preziose, viste con occhio critico e quanto più possibile oggettivo, da parte di uno studioso di sociologia. Ringraziamo quindi Marco per il tempo concessoci e sopratutto per essere diventato, in questi due anni di studi, un buon amico. Cheers.

 

L’esperienza Cresco: alcune riflessioni da uno studio di campo in Valle Varaita
Cresco è una Comunità a Supporto dell’Agricoltura (CSA) nata in Valle Varaita nel 2021. Il progetto è iniziato nel mezzo della pandemia dalla collaborazione tra Lorenzo e Pietro. Nessuno dei due, prima di allora, aveva alcuna esperienza agricola: Lorenzo, inizialmente, lavorava come web designer a Torino e successivamente si era dato alle cucine diventando chef fino a trovare la strada dell’agricoltura nel 2017. Pietro, da canto suo, ha studiato Studi Ambientali in un’Università norvegese. Fu lì che Pietro incontrò, per la prima volta, il concetto di CSA. Nel 2020, una volta ottenuta la sua laurea, Pietro si è trasferito in Valle Varaita per cercare un’occupazione: dall’incontro di queste due storie di vita apparentemente dissimili nasce la prima CSA della Valle Varaita. Nonostante il progetto abbia solo due anni, pare che la CSA abbia già trovato un proprio posto all’interno del tessuto socio-economico della valle. Nel 2021, Cresco aveva 75 membri e l’anno successivo ben 84. Con membri, si intendono privati individui, famiglie ma anche ristoranti e bar che decidono di far parte del progetto Cresco acquistando una quota.

Le CSA sono un modello socio-economico che ambisce a connettere direttamente i produttori ed i consumatori, eliminando di fatto gli intermediari e accorciando la filiera. Il modello è nato probabilmente negli Stati Uniti nella seconda metà del 1980 e da lì si è diffuso in tutto il mondo. Benché non ci sia un format unico ed imprescindibile, le CSA si formano sulla base di un accordo tra produttori locali e consumatori sulla produzione e distribuzione di cibo in una certa area geografica. In una CSA come Cresco è centrale l’idea di connettere una comunità di persone che vivono in un territorio con produttori locali. Così come suggerisce il nome (“a supporto”), la comunità supporta le attività agricole coprendo i costi di produzione e garantendo uno stipendio fisso ai lavoratori. Nel caso di Cresco – così come in molte altre CSA – ciò avviene attraverso un sistema di pre-finanziamento dove, all’inizio dell’anno, i membri comprano una “quota” ad un prezzo concordato. Questa quota andrà a coprire i costi previsti di produzione. Lorenzo e Pietro suggeriscono un prezzo per quota ma i membri della CSA sono liberi di offrire in base alle proprie disponibilità finanziare. “In questo modo”, mi dicono con orgoglio durante una delle nostre interviste, “manteniamo accessibile cibo sano e locale a tutti e tutte”. Per altro, il meccanismo di pre-finanziamento permette agli agricoltori di avere della liquidità utile a coprire le spese necessarie per rendere operativa l’attività agricola. In cambio, nelle settimane di produzione, i membri della CSA ricevono una cassetta di verdure il cui peso varia a seconda del tipo di quota che è stata acquistata.

La comunità, inoltre, sostiene gli agricoltori condividendo il rischio (ed i benefici!) della produzione. In tempi di cambiamento climatico e crisi ecologica, questo meccanismo è di grande aiuto poiché assicura una certa stabilità economica ad un’impresa di piccola taglia come Cresco, in un territorio di montagna. Pietro, a tal proposito, mi ha detto:
Per esempio, nel caso di una grandinata [che distrugge il raccolto], quel rischio non ricade solo su chi produce ma è condiviso da tutti. In quel caso dividere per 2 o per 80 fa una differenza perché ognuno perde poco. Allo stesso modo, se c’è un eccesso di produzione, questa viene redistribuita tra tutti senza costi aggiuntivi per nessuno

Raggiungere una sostenibilità economica in un progetto come quello di Cresco non è impresa facile, considerando l’inaccessibilità a forme di sussidio nazionale ed europeo per un’impreso piccola come quella di Lorenzo e Pietro (che hanno una copertura agricolta di poco meno di un ettaro). Pratiche come quella del pre-finanziamento, di condivisione dei rischi e di costi flessibili delle quote sono quindi essenziali a mantenere in vita la loro attività.
Benché avere abbastanza soldi per arrivare alla fine del mese sia, senza ombra di dubbio, una delle grandi sfide per Lorenzo e Pietro, i due giovani non nasconodo che è loro intenzione creare un modello di economia alternative dove “sostenibilità economica” non significa necessariamente avere dei margini di profitto in continua crescita. È sempre Pietro a spiegarmi cosa intendono:
[Vogliamo creare] un modello economico fondato su basi diverse da quelle puramente di mercato e di scambio per cui io produco qualcosa, te lo vendo e tu mi paghi e finisce lì. [Le CSA hanno] un potenziale trasformativo dal punto di vista economico. Vogliamo provare a far vedere che esiste un modello diverso e vogliamo provare a farlo funzionare.

Questo “potenziale trasformativo” risiede nella possibilità di immaginare pratiche di produzione, distribuzione e consumo del cibo che incorporino altri valori oltre al profitto: solidarietà, qualità della vita, cura delle persone e della comunità, cura del suolo e della montanga. Un modello di economia pianificata che parte dalla constatazione dei limiti imposti dal territorio e dal benessere della comunità.

Tecniche produttive e comunità
Per quanto riguarda la cura del territorio e dell’ambiente, Cresco si ispira all’agroecologia e, in misura minore, alla permacultura. A parte cercare di non creare rifiuti e di non usare alcun input chimico, Pietro e Lorenzo mantengono un ecosistema sano e ricco di biodiversità. Durante una nostra intervista, Lorenzo mi spiega così cosa l’agricoltura dovrebbe essere per lui:
Prendersi cura della terra in modo che sia sempre fertile perché qualcuno possa coltivarla anche dopo di noi. Per me è tanta roba. È una roba molto forte e io ho l’ansia di rovinare la terra. Secondo me, la usiamo fin troppo poco. Potremmo coltivarla forse di più ma io ho l’ansia di dire: no lasciamola riposare […]. Non spacchiamo la minchia a sta terra, facciamo che viva la sua vita. Non rompiamogli le palle. Forse potremmo produrre un po’ di più dalla terra che abbiamo. Però il mio primo pensiero è non deturparla. Uno, per il concetto di futuro. Due, perché se roviniamo la terra, che cazzo coltiviamo? Moriamo anche noi. […]. Se tu sai gestire la riproduzione e quindi fare in modo di lavorare sempre in un sistema vivo, la produzione viene da sè. Se conservi un suolo, un ecosistema in modo che sia riproduttivo e sano, allora produrci sopra diventa non dico automatico ma quasi.

Si potrebbe quindi spiegare il metodo di produzione di Cresco come un sistema non solo dedito alla produzione del cibo ma anche al mantenimento della terra. Allo stesso modo, le cure di Lorenzo e di Pietro non sono solo dirette alla natura e ai campi, bensì anche alle persone. Creare una comunità è uno degli obiettivi principi di Cresco, non solo perché la comunità aiuta a sostenere economicamente il progetto ma anche perché avere una comunità conferisce un valore ben più profondo, come mi ha raccontato Lorenzo:
Io ho fatto due anni a lavorare da solo, prima della CSA. È tosta. Ho patito la solitudine e tanto stress. Essere in due, dividi le problematicheç: quando uno scende, l’altro sostiene. Però poi mi rendo conto che quando mi ritrovo nei campi con della gente, con chiunque abbia voglia di venire, conoscere, capire, vedere, cinque minuti, due ore, vent’anni…a me dà un senso a quello che faccio. […] Per me il valore è avere delle persone che sono lì e riconoscono quello che sto facendo. Sono le persone a fare del mio lavoro e di me un valore. Perché la felicità è vera solo se condivisa. […] Io ho molta più soddisfazione a venire in campo e avere qualcuno che non attacca la fresa. Oppure qualcuno che viene a fare un corso da noi e ti rendi conto che questa persona capisce il valore di quello che stiamo cercando di raccontare. E comunque sia, anche lavorando insieme, seppure gli errori, facciamo molto di più. Alla fine ci divertiamo, facciamo l’aperitivo insieme…che vuoi dalla vita di più?

Lavorare insieme, passare del tempo insieme è un modo per essere felice per Lorenzo. È un modo, in altre parole, per costruire solidarietà e connessioni tra le persone che vivono in una valle, come la Val Varaita, dove c’è ancora una tendenza all’abbandono ed i servizi fondamentali scarseggiano. Questo sentimento di compagnia, felicità e socialità sembra accomunare molti dei membri della CSA. Durante l’assemblea soci di Ottobre dell’anno scorso (2022), una dei soci mi ha spiegato perché fa parte di Cresco in questo modo:
Ho inizialmente deciso di far parte della CSA per accedere a del cibo sano ed etico. Presto, però, mi sono accorta che la CSA creava spazi ed opportunità per incontrare persone con valori diversi. [Rispondendo la domanda: che cosa fa la CSA per il tuo territorio e per la comunità] La CSA crea una rete di solidarietà, di comunità, di cultura. Si prende cura del territorio, lo protegge e lo rende vivibile.

Il fulcro dell’azione della CSA sta dunque nella parole di questa socia: Cresco cerca di rendere vivibile un territorio di montagna che, troppo spesso, nel discorso pubblico e nelle politiche nazionali viene considerato territorio di scarto, d’avanzo, fatto solo di turismo, piste da sci, case vacanza e poco altro. Grazie all’aiuto dei membri della CSA, si organizzano eventi sociali come la proiezione di film, pranzi sociali, giornate di lavoro collettivo nei campi, lezioni di yoga, attività didattiche per i bambini e le bambine delle scuole locali e via dicendo. La comunità, inoltre, partecipa in un processo di democrazia attiva e impara a prendere decisioni, collettivamente, sul cibo che riceverà nelle cassette. Quando ho partecipato all’assemblea soci di Ottobre scorso, Lorenzo e Pietro hanno domandato ai soci di fare una classifica delle verdure più amate e più odiate, in modo tale da poter organizzare la produzione successiva e soddisfare le voglie ed i bisogni alimentari dei propri soci. Stando a quel che dicono Lorenzo e Pietro, la partecipazione attiva delle persone è uno dei valori fondamentali di questo progetto. Tuttavia, alcune persone sono ancora riluttanti a prendere un ruolo attivo in decisioni di questo tipo. C’è ancora del lavoro da fare, mi dicono i due contadini, per educare le persone alla sovranità alimentare e alle pratiche di decisione democratica.

Cresco in un contesto di valle
Voglio concludere con una nota importante: Cresco è tutt altro che un progetto isolato in Val Varaita. La forza della CSA, mi pare di capire, sta nel fatto di essere inserita in una rete di imprese locali con le quali condivono gli obiettivi di rivitalizzare la montagna e le comunità. Con queste imprese (c’è chi produce vino, chi fa pastorizia, chi gestisce bar, ristoranti e chi, come loro, coltiva), la CSA partecipa ad rete di attori dove si scambia manodopera, risorse e conoscenza per cercare di vivere, insieme, in montagna. Senza questi rapporti di conviviaità, di lavoro e di amicizia, progetti come Cresco faticherebbero a resistere in un territorio come quello della Valle Varaita, dove la principale prospettiva futura per i giovani è quella di andarsene in pianura o all’estero a cercare lavoro.

In un’epoca di crisi economica, energetica e pandemica, collaborare sembra essere l’unico modo per sorreggersi. Chiramente, ciò non significa che la collaborazione in rete è la panacea a tutti i mali di questo territorio. Servono soluzioni che agiscano sul piano strutturale e macro e che rendano la vita di queste iniziative più semplice e sostenibile. Qualcuno parla di un reddito di contadinanza o di presidio. Ma non si tratta solo di contributi economici. C’è un intero sistema burocratico e legislativo, troppo spesso dettato dai centri urbani, che deve essere snellito e riformato per adeguarsi alle realtà montane. Mentre si aspettano riforme di questo tipo, però, le comunità e le reti sembrano essere il tassello essenziale che garantisce ad alternative genuine di crescere e resistere. Sapere di essere parte di un movimento più ampio e di non essere da soli è di conforto a Lorenzo e Pietro. Mi piace pensare a questi due giovani contadini, così come a tutti gli altri membri di questa rete di valle, come a degli “antagonisti” – rubo il nome dagli Antagonisti di Melle, che non me ne vogliano. Dei restanti, per metterla come Vito Teti, che nel loro restare, andare e tornare si fanno custodi di una terra e di una socialità che dai margini fa nascere una speranza per un futuro altro.

– Marco Immovilli –